Recensione della sfilata Balenciaga Fall 2024 Ready-to-Wear.
Con la partenza di Alessandro Michele da Gucci, la prematura scomparsa di Virgil Abloh e il conseguente rapido declino del marchio Off White, sembra che un destino simile stia per verificarsi a Balenciaga con Demna Gvasalia, facente parte del trio più discusso e redditizio della decade scorsa. È il destino dei numeri primi, mescolato alla velocità dei tempi moderni, accentuato. Un cambiamento che risuona in tutti i settori. Prendiamo ad esempio il cinema, dove fortunatamente il pubblico non aspetta più i film Marvel, che avevano un buon rendimento finanziario ma non critico. Si creano invece aspettative più elevate per opere come “Povere Creature”, “Oppenhaimer” e “Dune – Parte 2”, che hanno una risonanza diversa rispetto a produzioni come “Uomini e donne in calzamaglia che si prendono a pugni”, spesso realizzate da Shooter.
Il discorso per il trio della moda menzionato in precedenza è diverso, poiché oltre a ottenere un buon successo finanziario, erano altresì apprezzati dalla critica, soprattutto Alessandro Michele, considerato un genio, e Demna Gvasalia.
Tuttavia, sembra che il logo “Ebay” ricamato su felpe e maglioni eccessivamente lunghi non abbia più la stessa forza innovativa e politica dei predecessori “Playstation” e “DHL”. Il tipo di estetica trash proveniente dalle strade dell’Europa dell’est sembra attenuarsi, a causa del mercato stesso che l’ha lanciata e poi abbandonata prematuramente. È colpa di questa macchina chiamata “Sistema Moda”, dove le subculture non hanno il tempo di svilupparsi prima di essere sfruttate dal mercato, non radicandosi nelle società come negli anni ’60 e ’70.
Nonostante tutto, è ancora troppo presto per parlare di fine. La passerella presenta sprazzi della genialità di Demna Gvasalia. Infatti, la sfilata inizia bene, con un ambiente interamente digitale, come ci ha abituati Demna, che proietta la calma arancione dei tramonti del deserto. La prima modella ad entrare indossa un abito maculato di paillettes dello stesso colore dell’ambiente circostante, con imbottiture sulle anche, una postura sfatta, capelli ossigenati e occhiaie che ricordano Frank Doubleday nei panni di Romero in “Fuga da New York” del 1997 di John Carpenter. L’abito grigio drappeggiato e rigido come il cartone, accostato a calze strappate e guanti che coprono l’intero braccio, è un vero capolavoro visivo. L’abilità straordinaria nell’uso degli accessori, come bracciali porta cellulare, catene e cinture, sembrano essere impeccabili.
Articolo di : Francesco Di Sante