Più del sesso, più di una traccia da 200 bpm o di fare bungee jumping dalla vetta più alta. Una montagna russa di impulsi che manda una scarica elettrica dalla schiena, dritta verso il cervello; talmente piacevole da volerne ancora, in dosi massicce.

Così teste roteanti, lingue mozzate e fontane di sangue piacciono perché ci danno un golden ticket per salire su questa giostra, alternando momenti di eccitazione a quelli di terrore e repulsione.

Bene e male, paradiso e inferno: in entrambi i casi il piacere è sempre contemplato (incluso il piacere della violenza) ma, al contrario di quello che ci viene insegnato, la linea che li divide è pressoché impercettibile poiché anche dietro i gesti ritenuti abominevoli c’è un fine più alto che spinge a commetterli.

Impossibile da inscatolare, ogni essere umano ne trae beneficio in modo assolutamente personale: ma se il piacere è indissociabile dal dolore, quanto di piacevole può esserci in un atto di violenza?

La chiamano Schadenfreude, teoricamente è l’attivazione dei centri del piacere, praticamente la sensazione di godimento nello spostare l’aggressività dall’ interno ad un oggetto esterno.

Gli psicologi la definirebbero come “fredda” follia, i creativi come raggiungimento del picco di massima espressione del sé.

Che ci sia o meno del giusto nella sublimazione del sangue, la pellicola cinematografica si è lasciata sedurre incondizionatamente da questi tratti psicologici, creando personaggi splatter e cult disturbanti ma dal fascino irrefrenabile.

Film ichi the killer scena iconica per il piacere della violenza

Subordinazione: le marionette

Vincent e Jules

Ezechiele 25:17. Il versetto biblico che Jules Winnfield recita in Pulp Fiction ogni qual volta sta per commettere un omicidio, giustificandolo come “punizione divina” sugli uomini non timorosi che pensano di poter raggirare Marsellus Wallace. Vincent e Jules, sono personaggi fuori dal comune, hanno l’inconfondibile impronta di Tarantino dove l’horror viene sdrammatizzato dall’ironia o dall’inconveniente, ma pur rimanendo umani. Infatti, sono i più timorosi di tutti, burattini che eseguono qualsiasi ordine del loro capo.

il piacere della violenza in pulp fiction di tarantino

Il reverendo

Infliggere una punizione è doverosa se giustificata dal fine divino purificatore. Il personaggio del reverendo in Brimstone è perfetta rappresentazione dell’ipocrisia religiosa negli Stati Uniti del XIX secolo. Sgozza, mutila ed uccide chiunque non assuma una condotta degna della volontà di Dio, compreso se stesso con l’autoflagellazione. Porta la moglie all’umiliazione che culminerà in suicidio, castiga la figlia privandole la possibilità di amare ed essere donna, costringendola alla fuga per tutta la vita.

Come un buon pastore, doma le sue pecore affinché si meritino il paradiso, in qualunque modo e a qualunque prezzo.

il reverendo in brimstone

Anton Chigurh

Freddo, intelligente ed incapace di provare sensi di colpa è l’identikit perfetto per descrivere il villain dei fratelli Coen in No country for old men. Caschetto pulito, pistola ad aria compressa e l’ossessione per una valigetta con un’ingente somma di denaro lo proclamano come il prototipo di mercenario per eccellenza. Lui non prova paura o misericordia ma lascia la possibilità, a chiunque si intrometta sul suo percorso, di scegliere il proprio destino lanciando una moneta. Testa vivi, croce muori ma in modo onesto.

Il bridge di questi personaggi è l’assertività e subordinazione per un essere supremo: Wallace, Dio ed il denaro.

non è un paese per vecchi

Perseveranza: i fantasmi

Patrick Bateman

Emblema dell’èlite di Wall Street a fine anni ’80, Bateman viene inghiottito dal buco nero dello scintillante sfarzo dell’ambiente posh, spingendolo ad una competizione violenta che, pian piano, gli sfugge di mano. La sua realtà si spacca in due: una patinata in cui godere di ogni lusso e fama; una seconda in cui ogni fallimento ed il desiderio di fit in dell’altra vita viene soddisfatto dall’omicidio. Sulla sua scia di sangue si ritrovano innocenti, amanti e colleghi: ogni amplesso viene studiato da vero American Psycho a tavolino, affinché possa godere di ogni colpo inflitto alla vittima che, a sua volta, viene inizialmente sedotta e coccolata dal killer prima di accompagnarla verso la morte.

Il tutto per accaparrarsi la miglior sfumatura di bianco del proprio biglietto da visita.

american psycho nella locandina iconica per il piacere della violenza

Louis “Lou” Bloom

Lou acquista potere diventando uno dei video reporter più bramato nella degradata Los Angeles. La sua fortuna lo consumerà dentro, portandolo a guadagnare sulle disgrazie altrui, cibandosi delle loro carcasse come fa uno sciacallo. The nightcrawler è sinonimo di totale mancanza di empatia in cui il personaggio principale è, al contempo, antagonista di se stesso, consacrato alla sola sete di potere per dare un senso alla sua esistenza priva di pudore e di etica.

Trait d’union: vengono inghiottiti da un vortice di violenza dal quale non riescono più ad uscire; consapevoli delle loro azioni, la loro vera identità deve rimanere intonsa, portandoli ad agire nel backstage del palco, invisibili senza una vera e propria catarsi.

Lo sciacallo

Dedizione: i vendicatori

Kakihara e Ichi

Ichi the killer, sociopatico dal passato turbolento è il serial killer che uccide con estrema velocità e freddezza; Kakihara è famoso per il suo amore eccessivo per il dolore e le pratiche di tortura. La violenza è l’unica forma d’amore che conoscono e a cui entrambi aspirano ardentemente: incontrollabili ed inconsolabili, crudeltà e vessazione sono gli unici modi attraverso i quali provare conforto e di cui non possono farne a meno. Mossi dallo scopo di vendicare (se stesso il primo, il boss il secondo), si rivelano assolutamente spietati, rasentando il limite della follia che culmina in un pianto “liberatorio”.

Ichi perderà il controllo della realtà spaccando letteralmente la faccia ai suoi nemici in un raptus di disperazione sentimento che Kakihara non mostrerà mai, nemmeno se dovessero tagliargli la lingua.

Ichi the killer

Beatrix Kiddo e O-Ren Ishii

Parola d’ordine: uccidere.

La prima, tutti coloro che hanno aiutato Bill; la seconda tutti coloro abbiano contribuito all’assassinio dei suoi genitori, scatenando una sete di sangue implacabile. Entrambe fragili e carine all’esterno, spietate e senza alcun rimorso dentro, sono protagoniste indiscusse in Kill Bill volume 1.

La differenza tra le due sta nel limite: Beatrix è stata addestrata come un killer ma, nella sua battaglia personale, si fermerà solo quando avrà ricambiato il favore a chi ha rovinato la sua vita. O-Ren non ha più un obiettivo, uccide assieme ai suoi 88 folli come unica fonte di gratificazione in un mondo che vuole divorarla.

Il common goal: la violenza come mezzo unico per non soccombere alla fragilità. In un mondo caotico fatto di depravazione e falsità, il connubio tra dolore e piacere è inevitabile ma, ironia della sorte, verranno inevitabilmente sopraffatti dalle loro vendette come in un labirinto senza vie di fuga.

o-ren ishii, kill bill vol.1

Che si tratti di marionette, fantasmi o vendicatori non fa differenza: qualsiasi sia l’effetto molla ciò che conquista l’interesse dello spettatore è l’ entertainment. La fama di spietati violenti causa l’immaginario di panico assoluto nel pubblico che ne è terrorizzato e per questo sedotto nonostante, alla fine, siano semplicemente singoli individui. La mente creativa umana muove i fili di un’immaginazione che cela, dietro a tutto quel sangue, puro e sano intrattenimento come da nostra natura richiesta.

Cala giù il sipario quindi, i riflettori vengono puntati sull’essere umano che svela la sua essenza di per sé malvagia, costantemente attratta dal dolore come un magnete, rendendolo dipendente dalla sofferenza altrui;  ma come Tarantino stesso afferma “tutto ciò va bene perché è un film. E’ fantasia non è la vita reale”… ma questa è un’altra storia.

Text : Anna Rita Miuli

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