La storia e lo stile degli skater hanno origine negli Stati Uniti dove il panorama delle mode e delle tendenze è stato spesso caratterizzato da innumerevoli meteore. Fenomeni effimeri che sono sorti, esplosi e scomparsi nel giro di pochissimo tempo. Tra questi, possiamo citare giochi come il l’hula hoop, il frisbee o la resurrezione dello yo-yo. Oppure bizzarre attività come il furto di slip femminili nei dormitori universitari. Il rito di ingoiare pesciolini rossi vivi o la celebrazione di matrimoni mentre ci si lancia con il paracadute. Tuttavia, tra tutte queste tendenze, solo una è riuscita a resistere al trascorrere del tempo, trasformandosi in una vera e propria subcultura: Lo skateboard e di conseguenza la skate culture.
Nel 1975, Craig Stecyk, una figura di rilievo di cui parleremo in seguito, pronunciò una frase che chiuse il cerchio: “200 anni di tecnologia americana hanno involontariamente creato un’enorme parco giochi d’asfalto dal potenziale infinito. Ma furono dei ragazzini 11enni a sfruttare quel potenziale.”
- Prima Ondata Skater: L’origine
- Seconda ondata skater: Z-Boys
- Terza Ondata Skater: il Punk
- Quarta Ondata Skater: StreetWear
Prima Ondata Skater: L’origine
Verso la fine degli anni 40’, i surfisti californiani per non annoiarsi nei periodi di stagione morta costruiscono delle tavole da surf con quattro ruote per servirsene sulla terra ferma. Ripropongono le stesse movenze usate in acqua su questi primi prototipi di skateboard denominati “sidewalk surfing” (surf da marciapiede). In più aggiungono, alle classiche acrobazie acquatiche, la verticale a testa in giù.
Tuttavia, il loro passatempo era decisamente scomodo per colpa delle ruote di argilla, poco funzionali. Ma, nel 1959, alcuni produttori di surf decisero comunque di creare i primi modelli in serie. Piatti, stretti e lunghi più o meno un metro.
Nel 1964 si vedranno sul grande schermo i primi bambini divertirsi mentre scorrazzano su queste tavole, nel film “America’s Newest Sport” di Bruce Brown.
Mentre, nel 1965, esce la prima rivista specializzata intitolata “Skateboard Magazine” della stessa casa editrice di “Surfer”. Costretta a chiudere i battenti nell’anno seguente poiché questo “passatempo” finisce ben presto nel dimenticatoio ed i negozi si ritroveranno con i magazzini pieni di scorte, segnando così, la fine della prima ondata.
Seconda ondata skater: Z-Boys
La vera rivoluzione arriva nel 1972 con l’invenzione del poliuretano. Un materiale che ha trasformato le ruote degli skateboard, conferendo loro maggiore manovrabilità e resistenza rispetto alla creta. Diventando così l’hobby preferito degli adolescenti californiani.
Le tavole stesse vengono riprogettate utilizzando il vetro, l’alluminio ed polipropilene, caratterizzate da colori sgargianti, con l’arancione come tonalità predominante. Tuttavia, il legno rimane la scelta preferita del pubblico. Anche la forma delle tavole muta, con dimensioni ridotte e una lieve inclinazione verso l’alto nella parte anteriore e posteriore per consentire l’effetto leva.
Gli Z-Boys: Ribellione e Popolarità
Durante questo periodo, va fatta una menzione speciale per un gruppo di ragazzi conosciuti come gli Z-boys, originari di Dogtown, un quartiere di Los Angeles.
Inizialmente surfisti, questi giovani sperimentatori possedevano un negozio di tavole da surf con un’immaginario più estremo per via dei colori accesi rispetto a quelli pastelli che andavano di moda in quel periodo. In più sperimentavano design innovativi, optando per prestazioni migliori e testandole personalmente. Formano una squadra denominata Zephyr team (Da qui la “Z” di “Z-Boys”) che successivamente si scioglierà. Ed è proprio in questo periodo che iniziano ad utilizzare lo skateboard come passatempo, ma, anche in questo caso, con un approccio estremo.
L’Immaginario collettivo
Avete presente le classiche foto che ritraggono gli skater mentre planano sulle loro tavole con le ginocchia piegate quasi a toccare con il culo per terra? O mentre skeitano in sospensione all’interno di piscine vuote? Perfetto tutto questo immaginario proviene da questi ragazzi e dal prima citato Craig Stacyk, membro dello stesso gruppo, ma con una passione anche per la fotografia e saranno proprio i suoi scatti e suoi articoli sulla rivista Skateboard, che intanto ha riaperto, a segnare l’immaginario collettivo e a renderli così popolari, tantè che la rivista sarà in quegli anni una delle più vendute in America e gli Z-Boys saranno acclamati quasi come star di Hollywood.
Tutto questo avviene per via di una grande siccità che colpì la California nella metà degli anni 70’ lasciando a secco molte piscine e questi ragazzi provano l’emozione di buttarcisi dentro, scivolando sulle pareti per prendere velocità per poi rimanere sospesi in aria.
Al maggiore pericolo fisico si aggiunge quello giudiziario in quanto dovevano violare la proprietà privata e molto spesso venivano inseguiti dalla polizia, ma riuscivano a cavarsela con i classici step: Palo-Parola magica-Fuga. E tutto ciò gli darà la nomea di cattivi ragazzi.
La loro separazione avverrà in un asso di tempo brevissimo, in quanto la loro fama e la loro bravura attireranno l’attenzione di sponsor e investitori. Così i singoli individui prenderanno strade diverse, da chi arriverà a vince i tornei mondiali, a chi aprirà brand come Powell-Peraltra a chi si spenderà la sua vita in alcol, droghe e feste.
Ma, misteriosamente, il fervore per lo skateboard si è spento alla fine degli anni ’70, segnando la fine della seconda ondata.
Terza Ondata Skater: il Punk
Tuttavia, un gruppo di skater irriducibili, provenienti dalla scena punk locale, sempre in California ha riportato in vita lo skateboard. Questi skater punk hanno apportato una nuova attitudine più ribelle e sovversiva alla cultura dello skateboard. Odiano tutta l’atmosfera creata dall’amministrazione locale. Il consumismo. I corpi ossessionati dall’aerobica e dalle vitamine. I pattini e la febbre del sabato sera.
Avviene una separazione definitiva tra la filosofia del surf e quella dello skateboard, poiché lo stile era ormai incommensurabile. Il loro look caratteristico comprendeva spille, catene, camicie a scacchi, giubbotti di pelle borchiati e vestiti di seconda mano di taglie più grandi. A tutto questo si sono aggiunti pantaloni larghi, magliette extra large con grafiche hawaiane, che con il tempo sono state modificate grazie a brand come Santa Cruz e Powell-Peralta, diventando più crude. A completare il look c’erano scarpe robuste, capelli alla “Mohawk” o tagliuzzati casualmente e colorati. Personalizzare la tavola con graffiti o adesivi era quasi obbligatorio.
In questa era è nata anche “Thrasher”, un’altra rivista di settore che ha sostenuto il nuovo stile e la sua evoluzione, insieme a numerose altre fanzine che abbracciavano linee guida spesso provocatorie, discutendo di film splatter, musica hardcore, problemi legali, contest e viaggi itineranti. Verso la fine degli anni ’80, lo skateboard è tornato in cima alle tendenze, segnando la terza ondata.
Quarta Ondata Skater: StreetWear
Oggi, la cultura dello skateboard è strettamente legata al mondo dell’hip-hop, sebbene non sia formalmente associata alle quattro arti di essa. Rapper di vecchia e nuova generazione, come Lil Wayne e Tyler The Creator, hanno abbracciato completamente questo sport.
Questa nuova ondata ha portato a un cambio nel look, con lo skateboard che si fonde con lo stile Streetwear. In effetti, potrebbe essere più appropriato definirla una parte integrante della scena street style, di cui l’hip-hop e lo skateboard fanno parte. Questo ha segnato l’ingresso della subcultura dello skateboard nell’arena dell’iniziativa commerciale, con scarpe, cappellini e magliette da skateboard griffati che superano di gran lunga le vendite degli stessi skateboard.
Lo skateboard è diventato un vero e proprio fenomeno culturale, tanto da essere incluso nelle Olimpiadi di Tokyo 2020. Sebbene il look e lo spirito possano cambiare nel corso del tempo, la cultura dello skateboard continua a rappresentare un simbolo di libertà, espressione individuale e ribellione contro le convenzioni, testimoniando la resilienza e l’energia delle nuove generazioni.
Articolo di : Francesco Di Sante