Recensione di “Lenskeeper – Alle porte dell’abisso” di CineDistopic.
Ci sono film che non si limitano a raccontare una storia ma ti trascinano in un’esperienza sensoriale, in cui realtà e incubo finiscono per confondersi. “Lenskeeper – alle porte dell’abisso” di Luca Canale B. è proprio questo. Un viaggio disturbante che parte dal corpo e della carne, per arrivare a toccare dimensioni più oscure, dove soprannaturale e orrore si intrecciano.

L’ambientazione della clinica oculistica non è un dettaglio secondario poiché lo sguardo diventa il vero filo conduttore del film. Ma qui vedere significa aprirsi a una voragine, scivolare in profondità dove la ragione perde ogni appiglio. L’occhio e la vista si trasformano in porta sull’abisso, sul male più puro e incontrollabile.
Tra corridoi asettici e strumenti, la scienza diventa un rituale oscuro. Così, tra sacrifici e visioni deformate, il confine tra ciò che è reale e ciò che appartiene all’incubo si dissolve del tutto. Un vero e proprio viaggio nel terrore che non concede tregua, un’esperienza estrema che rende omaggio tanto allo splatter viscerale di Fulci quanto alle suggestioni di Lovecraft.
Luca sa come costruire un incubo. L’atmosfera che crea è pesante, opprimente, eppure attraversata da dialoghi scritti con attenzione che non sono mai puro riempitivo ma strumenti per aumentare la sensazione di una minaccia costante. Non c’è ironia, lo spettatore è costretto a rimanere dentro la tensione, esattamente come i personaggi.
La fotografia è meravigliosa, da un lato la freddezza clinica, chirurgica, degli ambienti, dall’altro i lampi di colore e sangue che trasformano quelle stesse stanze in scenari infernali. Il sonoro accompagna ogni immagine con discrezione ma senza mai rilassare perché risulta inquieto, insinuante, sempre pronto a colpire nei momenti più inaspettati.
Gli effetti prostetici sono una delle grandi forze del film, crudi, realistici, disturbanti. Luca non nasconde nulla, non si rifugia mai nel fuori campo. Le atrocità che la protagonista osserva, le osserviamo anche noi e questa scelta radicale, senza compromessi, è ciò che rende l’esperienza ancora più destabilizzante e meravigliosa al tempo stesso.
Non vi è solo un tributo ai maestri del genere come Fulci, Bava, Yuzna, Gordon ma un è film che riesce a trovare una voce personale. Luca dimostra di avere un suo stile preciso, fatto di coraggio, cura e una consapevolezza matura della messa in scena. È una grande prova di forza quella di Luca (l’ennesima) che mostra e conferma come l’horror italiano possa ancora dire la sua, senza timore.
Il film vive anche grazie alle interpretazioni di un cast perfettamente in parte con una Diamara Ferrero magnetica nel ruolo della protagonista, in grado di trascinare lo spettatore in una vera montagna russa emotiva, passando dalla fragilità allo smarrimento fino alla disperazione più pura. Mentre Paolo Mazzini è un villain che lascia il segno, per quanto mi riguarda, giganteggia. Cinico, spietato, imprevedibile. La sua presenza è fisicamente e vocalmente imponente e la metamorfosi, che attraversa nel corso del film, lo rende sempre più oscuro fino a incarnare una malvagità assoluta e spaventosa.

Questo è un horror che guarda dritto negli occhi lo spettatore e lo costringe a non distogliere lo sguardo. È un’esperienza viscerale, e soprattutto un atto d’amore verso il cinema di genere italiano, dimostrando che sì, questo tipo di cinema si può fare, e si può fare benissimo.
Solo immensi complimenti a Luca e a tutte le persone che insieme a lui hanno lavorato a tutto questo.

Recensione di “Lenskeeper – Alle porte dell’abisso” di Francesco Di Sante.
Con “LeansKeeper – Alle porte dell’abisso“, Luca Canale B. firma un’opera di chiara ispirazione lovecraftiana, che indaga la perdita di controllo e l’impossibilità di dare forma a ciò che sfugge alla comprensione umana. Il regista non si limita a omaggiare Lovecraft, ma ne rielabora l’eredità concettuale traducendola in immagini di forte potenza visiva, dove l’orrore nasce dal corpo e attraverso il corpo.
Se l’orrore cosmico lovecraftiano si spinge in universi inconcepibili, popolati da creature di cui non sappiamo nulla – esseri dalla forma incerta e dalla natura insondabile, che incarnano la perdita di comprensione umana – il “LeansKeeper – Alle porte dell’abisso” di Luca Canale B. costruisce invece dei confini attorno a quell’incomprensione, soprattutto attraverso il body horror, che dà immagine e materia all’orrore.
Le figure mostruose che emergono attingono a un immaginario condiviso, riconoscibile nelle tradizioni del folklore e della religione, pur distorcendone la coerenza e la logica interna.

La sensazione di smarrimento, astrazione e incognito, affidata alla sceneggiatura e ispirata al modello narrativo di H. P. Lovecraft, non colpisce sempre nel segno: a tratti risulta pedante e ripetitiva se imitata troppo da vicino.
Diverso il discorso per la messa in scena: Luca Canale B. riesce a creare immagini potenti, crudeli ma al tempo stesso enigmatiche, claustrofobiche e fredde, evocando quella sottile linea tra una realtà translucida e un ricordo appannato, dove l’incomprensione diventa percepibile.
Tutto questo viene ricondotto al presente, ancorato alla nostra realtà, dove riaffiorano problematiche sociali quotidiane e il male intrinseco di un edonismo contemporaneo che ci consuma.
In più, il film regala diverse chicche che gli amanti dell’horror apprezzeranno senza dubbio.


