Playing god – Stop motion e onnipotenza

Fresco vincitore del Lucid Dream Festival come miglior corto italiano, “Playing God” è un cortometraggio animato in stop-motion diretto da Matteo Burani. La lavorazione del corto ha richiesto sette anni, un tempo lunghissimo per pochi minuti di animazione ma il risultato é stupefacente, da rimanere a bocca aperta.

Un’animazione straordinaria

La scelta della stop-motion non è solo una questione di stile, ma rappresenta un vero e proprio atto concettuale. Il regista Matteo Burani, nel suo ruolo di “Dio creatore” del cortometraggio, non si limita a plasmare i personaggi, ma determina anche i loro movimenti, il loro destino e persino la loro ribellione. La stop-motion diventa così un’estensione della sua volontà, un’animazione che, pur non essendo mai fluida come quella digitale, conserva tracce visibili della mano umana, creando un senso di realismo imperfetto e tangibile.

Playing God

Un lavoro di design strepitoso 

Le creature animate in Playing God possiedono una qualità scultorea che rivela l’origine artistica del regista, il quale ha una formazione nel campo della pittura e della scultura realista. Ogni dettaglio – dalle superfici ruvide alle espressioni facciali marcate – suggerisce un legame diretto con il lavoro di un artigiano che plasma la materia in cerca di vita. Burani non è più solo il loro creatore, ma diventa un osservatore impotente di fronte alla loro evoluzione. Questo genera un affascinante cortocircuito tra il mestiere dello scultore e quello dell’animatore, portando la narrazione su un piano meta-cinematografico in cui il regista stesso sembra interrogarsi sul controllo che un artista ha sulle proprie opere.  

Matteo Burani in Playing God

Un’atmosfera degna di nota

L’illuminazione gioca un ruolo cruciale nel creare un’atmosfera mistica. La luce drammatica, spesso direzionata per esaltare la tridimensionalità delle sculture, richiama l’estetica delle opere rinascimentali, dove il chiaroscuro sottolinea il rapporto tra il divino e l’umano. Visivamente, il cortometraggio riesce così a rendere tangibile il concetto stesso di creazione e distruzione, con un’estetica che si sposa perfettamente con la narrazione.

Con “Playing God”, Matteo Burani costruisce un’esperienza che va oltre il semplice racconto animato, sfociando in un dialogo visivo tra il creatore e la sua opera, tra il regista e il film stesso. Fino a che punto il creatore può controllare la propria creazione prima che essa sviluppi una vita propria?

Articolo di: CineDistopic

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