C’è un filo invisibile – eppure teso, tagliente – che collega La zona d’interesse, il film di Jonathan Glazer alla sfilata Prada Donna Autunno/Inverno 2024.
Due opere uscite a poche settimane di distanza, due linguaggi diversi – il cinema e la moda – che però sembrano raccontare la stessa storia: quella della rimozione, della cecità, della normalità che scorre accanto all’orrore senza accorgersene… o facendo finta di non vederlo.
- Un’estetica della negazione
- La moda come dispositivo visivo
- Fratture temporali
- Verso il distopico, tra tagli e materiali
- Una critica della rimozione
Un’estetica della negazione
Nel film di Glazer la quotidianità di un comandante nazista si svolge in una villa borghese, immersa nel verde, a pochi metri dal campo di concentramento di Auschwitz. Il giardino fiorito, i pranzi in terrazza, i giochi dei bambini: tutto è costruito per escludere il fuori, per rimuovere l’inferno al di là del muro sormontato dal filo spinato.
La macchina da presa si muove senza retorica, ma con una freddezza chirurgica. L’orrore non viene mostrato, ma si insinua nei rumori, nei dettagli, nelle omissioni. È un’estetica della negazione: non vedere è già una scelta politica.

La moda come dispositivo visivo
Qualcosa di molto simile accade nella collezione Prada A/I 2024. Le modelle sfilano su una passerella trasparente sospesa su un prato, indossando abiti che evocano uniformi militari, con linee rigide e colori austeri, silhouette anni 30′ e 40′. La scenografia riproduce un mondo idealizzato, rassicurante, ma sotto i piedi scorre la terra: la memoria, la storia, ciò che non si vuole guardare.
A separare i due livelli non c’è un muro, ma un vetro sottile, quasi impercettibile. Una barriera trasparente che, come quella del film, non protegge ma isola, filtrando la realtà finché diventa invisibile. Ancora una volta, la moda si fa linguaggio critico – o almeno, suggerisce una riflessione – sulla distanza tra il nostro presente e ciò che scegliamo di non vedere.

Fratture temporali
A metà sfilata, due giacche da college rompono l’equilibrio. Simbolo della cultura hip-hop, ma nate negli anni ’30, diventano cortocircuito temporale: passato e presente si toccano, si mescolano, confondono le coordinate estetiche.
Anche Glazer inserisce nel suo film riferimenti sottili al nostro tempo – senza mai esplicitarli – come a suggerire che ciò che è stato non è mai del tutto passato.
La storia ritorna. Sotto forme nuove, ma con lo stesso sguardo cieco.

Verso il distopico, tra tagli e materiali
Da quel momento, la collezione vira verso un immaginario futuribile, quasi post-umano: tagli destrutturati, materiali sintetici, volumi alienanti. L’umanità si rarefà, si dissolve.
Un’estetica che non è semplicemente futurista, ma distopica. Non è un futuro da desiderare, ma da temere. Come in La zona d’interesse, l’apparente bellezza serve solo a nascondere un vuoto inquietante.

Una critica della rimozione
Quello che emerge, nel confronto tra queste due opere, è la rappresentazione di una cecità selettiva, di una società che convive con il trauma senza affrontarlo.
Sia il film che la sfilata ci mettono di fronte alla stessa domanda: quanto siamo disposti a ignorare per continuare a vivere nel comfort della nostra bolla visiva?

In Prada e “La zona d’interesse”, si fa strada la stessa consapevolezza: il passato, se non lo si guarda in faccia, ritorna.
E quando ritorna, spesso è troppo tardi.


