Legature, calze a rete, tacchi a spillo. Quello che per molti oggi è solo un’estetica provocatoria da passerella, ha in realtà radici profonde e affascinanti nella cultura underground americana degli anni ’40 e ’50. Un’estetica nata ai margini, tra riviste clandestine, fumetti feticisti e fotografie distribuite via posta, che ha finito per influenzare la moda, il cinema e l’immaginario collettivo – creando un vero e proprio stile bondage. Tutto iniziò con un inglese trapiantato negli Stati Uniti: John Willie.
- John Willie e la rivista Bizarre
- Irving Klaw: il re delle pin-up e l’industria del bondage
- Fumetti, illustrazioni e moda distorta
- Dall’illegalità alle passerelle: lo stile bondage oggi
John Willie e la rivista Bizarre
John Alexander Scott Coutts, in arte John Willie, fu una figura chiave del revival feticista americano. Emigrato dall’Australia a New York nel 1946, fondò la rivista Bizarre, che per dieci anni raccontò un mondo di fantasia sadomaso, fatto di corsetti, guêpière, fruste e donne imbavagliate. Le protagoniste dei suoi fumetti – tra tutte la mitica Sweet Gwendoline – erano raffigurazioni di una femminilità estrema, perversa e affascinante.
Ma ciò che colpisce è quanto Bizarre abbia codificato un immaginario estetico destinato a sedimentarsi nella moda: l’abbigliamento fetish che oggi vediamo in passerella, dalle silhouette stringate ai latex total look, è figlio diretto di quella cultura visiva.
Irving Klaw: il re delle pin-up e l’industria del bondage
Se Willie fu il visionario, Irving Klaw fu l’imprenditore. Con sua sorella Paula, aprì a New York un piccolo impero del bondage: il Movie Star News. Da lì partivano centinaia di foto e filmati feticisti venduti via catalogo postale. Ambientazioni come “sale delle torture” o finti motel venivano allestite in studio per mettere in scena modelle iconiche, vestite con tacchi alti, autoreggenti nere, corsetti strettissimi. Il tutto confezionato con un gusto che oggi potremmo definire “pop-trash d’autore”.
È qui che nasce la leggenda di Bettie Page, musa indiscussa del bondage americano e volto eterno della pin-up culture.
Il suo modo di indossare calze e reggicalze non era solo erotico, era performativo. Bettie portava in scena il desiderio e l’abito insieme, rendendo il vestiario uno strumento narrativo.
Fumetti, illustrazioni e moda distorta
I serial illustrati pubblicati da Klaw sono una miniera d’oro visiva: donne dominanti, altre in catene, scolarette ribelli e regine pirata. Questi mondi illustrati erano abitati da un solo soggetto: la figura femminile, spesso vittima, a volte carnefice, sempre vestita (o svestita) in modo teatrale. Corsetti, maschere, guanti lunghi, stivali con plateau vertiginosi: ogni elemento parlava di potere e sottomissione.
Disegnatori come Eric Stanton, Gene Bilbrew e persino Steve Ditko (il co-creatore di Spider-Man!) contribuirono a definire questo universo, con linee grafiche affilate e sensuali, che oggi potrebbero tranquillamente ispirare un editoriale di moda in stile bondage.
Dall’illegalità alle passerelle: lo stile bondage oggi
Negli anni ’50, mentre Klaw affrontava i tribunali per “indecenza” e i suoi archivi venivano bruciati per sfuggire alla censura, l’estetica che aveva contribuito a creare iniziava a infiltrarsi nel mainstream. Dai look sadomaso di Thierry Mugler negli anni ’80 ai capi bondage di Alexander McQueen, fino ai recenti latex couture di Richard Quinn e Balenciaga, la moda ha continuato a saccheggiare quel vocabolario visivo nato ai margini.
Anche le popstar hanno raccolto il testimone: da Madonna a Lady Gaga, fino a Rosalía e Doja Cat, l’immaginario bondage è oggi mainstream, anche se raramente si riconoscono le sue origini storiche.
Oggi che la moda rivendica la libertà espressiva e i confini di genere si sfumano, torna utile ricordare da dove viene una parte dell’estetica che vediamo ovunque nelle vetrine delle boutique alle copertine dei magazine.
Parlare di bondage non è solo un vezzo erotico, ma una chiave per leggere i codici del potere, del desiderio e della rappresentazione femminile.
E anche se tutto è nato tra le ombre della censura e della moralità, quell’estetica ha trovato un modo per sopravvivere. E oggi, più che mai, è pronta per essere raccontata con nuovi occhi. Anche quelli della moda con il suo nuovo stile bondage.
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