Met Gala : Il Falso Abito della Moda

Once upon a time nel sistema moda tutto brillava di luce riflessa dai diamanti che tempestavano abiti e catwalk del Met Gala. Ma il mirroring non è altro che una falsa prospettiva della realtà: quella luce abbagliante da cui ci lasciamo inconsciamente accecare come lucciole sono solo i flash delle reflex che inondano la moda di patine senza contenuto.

Perché per quanto il concetto moda possa essere paragonato all’idea di pura creatività come espressione del genio artistico, ad oggi sembrerebbe che l’originalità stia lasciando sempre più margine ad una moda rivisitata più che inedita. Si potrebbe parlare, quindi, del mondo moda come un eterno ritorno nietzschiano in cui tutto rinasce e muore in base a cicli temporali fissati e necessari per garantire il divenire delle cose. Un’evoluzione che, però, sembra tornare sempre più radicalmente indietro sia nella creazione che nelle sue posizioni ideologiche per ripescare dal cilindro ciò che ha fatto la storia, dove il tocco di bacchetta non lo rende “avanguardista” e parlare di impegno e correttezza non farà altro che vestire di un falso abito la moda.

Cardi B al Met Gala

Il Reawakening degli Spleeping Beauty

Bastasse un bacio a fargli svegliare e invece no, più addormentati da svegli che da dormienti.

Il Met Gala è l’evento più esclusivo della moda fin da quando è stato istituito nel 1948 da Eleanor Lambert, un modo per scacciare sotto al tappeto tutta la polvere indesiderata provocata dall’ennesimo conflitto mondiale distruttivo e dare un motivo agli yankees per tornare a vivere il “bello”.

E oggi lo scettro è nelle mani di Anna Wintour che, da buon regina di Vogue America, quale altro tema avrebbe potuto scegliere se non il risveglio del fashion? Il punto è che un po’ tutti ci credevamo realmente in questa presa di coscienza che invece è svanita nel nulla come in un sogno, appunto.

Il tutto alla modica cifra di 75.000 dollari a testa. Ma attenzione, tutto va in beneficienza per sostenere il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York; e allora, se è in nome dell’arte tutto è giustificato. Oppure no: la scelta di una cifra così esagerata e che ha portato i mass media a rivolgere l’attenzione per svariati giorni nei confronti di un evento mondano di tale capacità ha sempre e solo un’unica risposta. Fare business per il business, inclinando il copricapo con velo davanti sul viso come paraocchi, in stile Richard Quinn by Sarah Jessica Parker .

Da qui, la rivolta.

Motivo uno: la vanità.

Un evento che celebra il fashion system nella sua sfarzosità gettandoci letteralmente in faccia migliaia di dollari per sottolinearne l’importanza e l’esclusività non ha letteralmente motivo d’esistere.

Motivo due: la voce.

Il Met Gala è famoso per l’unicità dell’evento in sé ma soprattutto per i personaggi che partecipano, scelti appositamente dopo una minuziosa cernita fatta dalla Wintour in persona. L’onda d’urto che la voce di tali volti potrebbe generare sarebbe di una gittata così ampia da scuotere e manipolare le menti anche più assopite che, invece, continuano a muovere i loro pollici solo per lasciare like al loro fav dress.

Motivo tre: l’abito.

All Eyez On Me cantava Tupac, per celebrare la sua grandezza nel music biz più di vent’anni fa e da allora tutto e cambiato, o forse niente. L’effetto wow che pretendiamo da contesti del genere è il minimo, ma l’effetto flop che ci ribalza in faccia è sempre più devastante. C’è un continuo riesumare capi vintage o pezzi unici, roba che ha reso grande il passato della moda ma che rende scontato e noioso il presente; ecco l’affievolirsi dell’effetto scintillante che, almeno ci fosse, darebbe un motivo per cui sospirarci sù. Al contrario, ha inorridito e scatenato non ben poche polemiche il secondo tema scelto per la cena del Gala.

abito di Robert Wun al Met Gala

The Garden of Time

Short-story di J.G Ballard, racconta di una coppia che tenta di fermare il tempo raccogliendo fiori in un giardino incantato, solo per scoprire che la loro azione accelera, invece, il loro destino di decadimento e distruzione. Metafora che fa fit in un sistema in cui tutto più si “evolve”, più va in pezzi: un po’ come le intenzioni stabilite per il secondo topic della cena del Met in cui se l’obiettivo era alzare lo share mediatico, ci sono riusciti alla grande e in negativo.

Quando si parla di favole o di mondi incantati come quello che la moda dovrebbe farci vivere, si pensa a qualcosa di fantastico con il suo lieto fine. In questo caso c’è un reverse dove organizzatori ed host presenti sul carpet hanno personificato i villain, simboli di dolore e violenza. Lo scopo, ostentare superiorità e grandezza da privilegiati quali sono in confronto al resto del mondo che, invece, sta a guardare elogiandoli, anestetizzato dalla luce a led dello schermo dello smartphone.

Abiti di Thom Browne

The Hunger Games

Letteralmente, i giochi della fame. Tra le saghe che hanno segnato l’ultimo decennio, il canto della rivolta della ragazza di fuoco è sicuramente tra i più travolgenti e distopici: nata in uno dei distretti più poveri, la protagonista Katniss decide di sacrificarsi come tributo per salvare sua sorella da morte certa e tentare di distruggere il sistema dalla radice, partecipando a dei giochi televisivi in cui ogni rappresentate muore nel tentativo di raggiungere la vittoria ed il conseguente successo.

La crudeltà con la quale la società ricca è artefice e, allo stesso tempo, spettatore di questa messa in scena è stata direttamente traslata sulla ribalta del Met Gala, paragonando le fashion celebrities a quei personaggi indifferenti e noncuranti di ciò che sta succedendo oggi nel crocevia tra Europa, Africa e Asia, schiacciando col tacco chiunque non faccia parte dello stesso circolo massonico ma che, sorprendentemente, vengono comunque amati e temuti nonostante il contesto di carneficina che ci circonda.

Zendaya al Met Gala

Come tutte le storie, anche i sogni ad occhi aperti hanno una morale, un loro significato nascosto o, in questo caso, svelato dove, lasciando cadere le maschere che coprono i volti rivestiti di rimmel e falsi sorrisi, la verità è più crudele di quanto si possa immaginare al Met Gala.

I prototipi plastici che continuano a sottoporci sono così all’ordine del giorno da essere considerati il naturale corso delle cose in cui, forse, non è più vero che i ribelli ed i giusti trionferanno sempre sull’omertà e l’ipocrisia di chi cammina sui mattoncini dorati. Un ideale dell’ostrica che ha sempre un po’ spaventato ma meno inquietante se porta l’umanità vero l’apatia assoluta. Un po’come  tutti i finali da sad stories che guardiamo con dispiacere distaccato, finché non si viene colpiti.

Articolo di : AnnaRita Miuli

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