Il mio primo contatto con Walter Rastelli è avvenuto tramite un articolo pubblicato su Instagram, in cui abbiamo esplorato il tema del cinema horror italiano, passato e presente, e le difficoltà che i registi italiani contemporanei devono affrontare. Rastrelli ha apprezzato il fatto che avessimo trattato un argomento spesso trascurato, ringraziandomi per aver portato l’attenzione su queste questioni. Da quel momento, abbiamo iniziato a scambiarci alcuni messaggi. In quel periodo, Rastelli si trovava a Reims per presentare un suo cortometraggio horror al Red Movie Awards, dove, la sera successiva ai nostri primi scambi, avrebbe vinto il premio come Best horror.
Affascinato dal suo successo e dalle sue opinioni, gli ho proposto di approfondire alcuni temi che avevamo brevemente toccato: il riconoscimento ottenuto, le sfide attuali del genere horror e il cinema in generale. L’idea era di trasformare questa conversazione in una dettagliata intervista, offrendo una visione più completa e critica del suo lavoro e delle sue prospettive sul futuro del cinema horror italiano. Così, ci siamo dati appuntamento digitale lo stesso weekend tramite Discord. Non appena siamo entrati in chiamata, ho notato la sua crepi black t-shirt, gli oggetti scuri che contornavano la sua stanza e le chitarre appese alle pareti. Ho capito subito che Rastelli condivideva il mio stesso linguaggio estetico e culturale, creando un’immediata connessione tra di noi.
Background
Dai nostri primi scambi, è emerso subito quanto Rastelli ami il cinema. Un’amore che è formatosi sin dalla più tenera età.
Afflitto da balbuzie, trovò nella fotografia un mezzo di espressione, e da lì il passo verso il cinema fu naturale. Passava ore a casa di un amico, esplorando l’immensa collezione di DVD del padre, e uno dei suoi primi amori cinematografici fu “La Casa 2” di Sam Raimi. “Ancora oggi considero quel film un capolavoro,” dice Rastelli, “dove il mostro è rappresentato semplicemente da un movimento di macchina che riesce a trasmettere angoscia.”
Nato e cresciuto a Bacoli, in provincia di Napoli, ha affrontato numerosi ostacoli per coltivare la sua passione. Il cinema più vicino era a mezz’ora di macchina, così ha fondato un’associazione culturale e avviato un festival di cinema nella sua zona, che è andato avanti per sei anni.
“Uno dei problemi principali,” spiega Rastelli, “era che molti cortometraggi italiani sembravano fatti con lo stampino. Stessi temi, stesse modalità di regia. Questo riflette il controllo esercitato dai grandi network come RAI e Mediaset sul cinema italiano, che finisce per essere una semplice estensione della televisione.” Una critica che trova conferma nel panorama odierno, dove spesso la creatività viene sacrificata sull’altare della conformità.
Physis
Dopo aver completato vari studi e aver girato diversi cortometraggi, Walter Rastelli lavora come lighter per uno studio di animazione, realizzando un corto finanziato dalla RAI. È proprio durante questo periodo che nasce l’idea di “Physis”.
“Sentivo di perdere la mia umanità stando sempre seduto davanti allo schermo creando qualcosa che non provenisse dal mio cuore e avvelenato da un mondo sempre più artificiale. Questo stato emotivo, unito alla mia passione per la natura solitaria, mi ha spinto a creare questo corto con i miei pochi risparmi.”
Ed è proprio questo il tema di cui tratta “Physis”: la pressione, lo stress e il burnout generati da questo periodo storico così opprimente. Rastelli riesce a rappresentare perfettamente questi sentimenti attraverso la metafora di un uomo ormai in preda a uno stato depressivo, schiacciato da orari e pressioni lavorative che lo conducono all’apatia totale. Un uomo che, al suo interno, non ha più organi, ma solo pece nera e una marionetta. Solo quando questa marionetta verrà estratta dal suo corpo, egli tornerà ad acquisire la sua umanità, ritornando a essere uomo solo dopo aver ricevuto cicatrici sul suo corpo.
Rastelli presenta tutto questo con una grande abilità tecnica ed un’ottima capacità nel dirigere gli attori, supportato da una fotografia che definirei espressionista di Antonio De Rosa e dal trucco sapiente di Cristina Correra.
Conclusione
L’intervista con Rastelli si conclude con una nota di speranza. La sua storia dimostra che, nonostante le difficoltà, c’è spazio per l’innovazione e la passione nel cinema italiano. Un’arte collettiva che richiede impegno, sacrificio e, soprattutto, la volontà di sfidare le convenzioni per creare qualcosa di veramente nuovo e significativo.
“Il pubblico italiano si aspetta sempre lo stesso tipo di prodotto, e i produttori temono che qualcosa di diverso non incassi abbastanza,” osserva Rastelli. “La soluzione è fare gruppo, unire le forze e dimostrare che con pochi soldi si può creare qualcosa di qualità. Solo così possiamo convincere i produttori a investire in idee nuove e coraggiose.”
Intervista di : Francesco Di Sante